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salva invia
23 Maggio 2011
Il centrosinistra non è l’alternativa alla destra
In Spagna, il governo Zapatero è rimasto travolto dalla crisi economica. La bolla immobiliare che aveva tirato l’economia spagnola esplodendo s’è portata tutto dietro. La disoccupazione viaggia intorno al 20 percento, e nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni arriva al 40. In Europa un altro paese messo così male è la Grecia. E poi c’è la Calabria. La Calabria ha queste identiche cifre. Solo che in Calabria non c’è stata bolla immobiliare né speculazione finanziaria e quindi neppure quel decennio di frenetica corsa al rialzo che comunque aveva diffuso consumi e condizioni di vita migliori. Però, un qualche filo di pensiero per mettere a paragone situazioni così distanti forse si può fare.
Il riformismo alla Zapatero non ha prodotto cambiamenti significativi e conquiste durature sul piano del lavoro: sul piano dei diritti delle persone, sì. La legislazione sulle coppie di fatto o in tema di maternità e di assistenza alle giovani donne, la protezione e la promozione della “diversità di genere” ha fatto progressi da gigante, per certi versi non ha paragoni in Europa, e figuriamoci con gli Stati uniti, tranne qualche Stato, la California per dire. E non è stato un passaggio indolore: la cultura cattolica e il potere della Chiesa sono ancora forti, hanno una presa ideologica e elettorale stabile. Chi non ricorda le manifestazioni a Madrid contro l’aborto o contro i matrimoni gay? Come mettere assieme diecimila, centomila Giovanardi, un incubo. Però, quella legislazione progressista in qualche modo è passata. Una certa cultura è passata. Quante volte ho sentito dire a miei amici gay o lesbiche con occhi trasognati: «Ah, la Spagna! È lì che bisogna andare!» E poi un governo tinto di rosa con una forte presenza femminile, il ministro della Difesa con il pancione che passava in rassegna le truppe che si erano tirate via dall’inferno dell’Iraq ma non da quello dell’Afghanistan.
Quello che non è passato è un cambiamento nei rapporti di lavoro, nella contrattualità, nella garanzia per la disoccupazione, nella lotta alla precarietà. Il riformismo alla Zapatero ha basato i suoi progressi economici – a mezzo bolla immobiliare – sostanzialmente sulla stessa leva che costituisce la base dei rapporti di lavoro ovunque nel mondo: la precarietà. Per costruire velocemente case che servissero a contrarre mutui che servissero a far camminare derivati finanziari serviva lavoro a bassa garanzia. E tutto intorno, servizi finanziari, informatica, design, mobili, eccetera eccetera. A assorbire non solo manodopera manuale – molta immigrata, e quando era in esubero il governo spagnolo ha fatto la faccia feroce, molto feroce –, ma anche creatività e cultura. Finché è durata, bene. Appena s’è fermato tutto – e sono miliardi i metri cubi di cemento invenduti – sono finiti i giochi. I giovani sono scesi in piazza. Incazzati. O indignados, che è uguale. Li recupererà? Dovrà impegnarsi molto Zapatero, e per rispondere a loro.
Una parabola e un epilogo simili si riscontrano in Gran Bretagna, che Blair volle trasformare a tutti i costi nel cuore finanziario del mondo. Così, la City è diventata ricchissima attraendo capitali da dovunque, con una tassazione ridicola, una mobilità finanziaria inimmaginabile prima. Quando la bolla speculativa è scoppiata, sono iniziate le file dei risparmiatori davanti alla Northern Rock, e poi il disastro. Gordon Brown ha gestito il disastro del blairismo – la terza via decantata da Giddens – e è stato punito dall’elettorato. Che è andato verso Cameron e la destra. I giovani sono scesi in piazza. Incazzati.
La Grecia, con il governo retto dal socialista Papandreou, è ormai da due anni un paese a sovranità limitata, sempre sull’orlo del default o della ristrutturazione del debito che è poi un modo più fumoso per definire la bancarotta. Nonostante il blocco dei salari, e in alcuni casi la riduzione, nonostante i tagli al settore pubblico, nonostante il piano di liberalizzazione, cioè di svendita dei beni pubblici, non basta. È vero che Papandreou ha solo ereditato la folle crescita della spesa pubblica voluta dal suo predecessore, il governo di centrodestra di Karamanlis. A Karamanlis non sembrava vero che il paese tirasse attraverso la speculazione finanziaria senza che lui facesse niente, e si era convinto che la pacchia sarebbe durata, quindi ha allargato a dismisura la spesa pubblica. Quando è arrivata la crisi, s’è capito che le cose non stavano così. Ma Papandreou non ha vinto elettoralmente con un programma che spiegasse come affrontare la crisi, come uscirne senza penalizzare la società. Ha solo goduto di una disaffezione dell’elettorato di centrodestra, proprio come successe a Zapatero dopo le bombe di Atocha e le orribili stupidaggini di Aznar. I giovani greci, intanto, sono scesi in piazza più volte. E sempre più incazzati.
In Islanda, che in pochi anni è passato dal paese della pesca al merluzzo a uno dei più importanti terminali finanziari del mondo, c’era un reddito medio pro capite tra i più alti del mondo, servizi di istruzione e sanità ottimi e gratuiti, previdenza sociale tra le migliori, alto tenore di vita. Quando è scoppiata la bolla speculativa s’è creato il panico e è bastata la svalutazione della corona islandese per fare a pezzi quest'economia fragile, basata più su giochi finanziari che su una ricchezza reale. La gente è scesa in piazza, indignada, e ha sputtanato banchieri e politici, ha votato con un referendum per non restituire il debito alla Gran Bretagna. Sarà complicato tenere fede a questo impegno, a meno di non tornare a isolarsi dal mondo e rimettersi a pescare merluzzo. Alle municipali di Reykjavik, la capitale, il nuovissimo partito denominato Best Party – guidato dal comico Jon Gnarr – ha ottenuto il 35 percento dei voti. Jon Gnarr ha detto che il Best Party si propone di consultarsi con i vari partiti per formare una coalizione, fermo restando che  il sindaco dovrà appartenere a loro. The Best Party ha candidato attori, musicisti, casalinghe, personaggi dello spettacolo, gente qualunque; si è avvalso abbondantemente di YouTube per la propria campagna elettorale ed ha pubblicato un video ufficiale per le elezioni sulle note della canzone Simply the best. Ricorda niente questa storia? Non somiglia molto al percorso di Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle?
Torniamo all’Italia e alla Calabria. L’Italia non ha sofferto con evidenza sinora la crisi finanziaria. Non è merito di Tremonti, che peraltro è collocato nella valutazione europea dei ministri dell’Economia solo al quattordicesimo posto, e che si è limitato sinora a tenere sotto controllo la spesa pubblica, una cosa comunque non da poco considerando gli appetiti divoratori della casta politica. È che l’Italia ha un sistema bancario e finanziario molto chiuso, di scarsissima movimentazione e estremamente rigido. I risparmiatori sono conservatori, e dopo il crack Parmalat e l’affare dei bond argentini e di Cirio chi darebbe loro torto? Quasi sempre, chi si avventura nella speculazione finanziaria finisce in guai giudiziari, vedi Fioroni o Ricucci e Fazio, o la recente storia del broker dei Parioli. Non c’è via di mezzo: o stai sotto il rigido sistema bancario – che somiglia tanto, troppo al sistema assicurativo, un mondo chiuso, una consorteria che approfitta e si contenta di drenare il risparmio – o ti muovi sul filo dell’illegalità. L’Italia è ai margini della movimentazione finanziaria internazionale, e questo ci ha messo al riparo. Non ci ha messo al riparo però dal fatto che quella speculazione altrove comunque è stata motore di crescita economica e di consumi rilevanti, e che non è stata sostituita qui da una programmazione economica che facesse ripartire un ciclo virtuoso. L’Italia è ai margini dell’economia del mondo, e sta progressivamente rosicchiando i suoi risparmi, stagnando impietosamente. Nella stagnazione le regioni ricche, come la Lombardia, sopravvivono, le regioni povere, come la Calabria, vanno al collasso e implodono. È da addebitare al berlusconismo tutto questo? Certo che sì, visto il totale disimpegno sul tema dell’economia e l’assorbimento del presidente del Consiglio e di tutto il governo in altre questioni. Un governo di centrosinistra – mettiamo, Prodi – sarebbe stato in grado di affrontare questa crisi economica? Prodi, come già Ciampi, ha sempre considerato l’ingresso nell’euro come il risultato migliore del suo mandato. Qualcuno, guardando oggi quello che succede in Spagna o in Portogallo o in Grecia, può pensare che questo – l’euro – sarebbe stato per noi di per sé una salvezza? Il governo Prodi non è caduto per un complotto di D’Alema e Marini o perché De Magistris sconsideratamente e senza alcuna prova concreta con la sua inchiesta Why not ha mandato in fibrillazione Mastella che s’è buttato con Berlusconi o perché Turigliatto votava contro la guerra e Bertinotti non sapeva che cazzo fare di tutti quei voti che generosamente gli erano stati donati e non riusciva a controllare quella strana accozzaglia di miracolati. Il governo Prodi cadde perché non aveva un piano su lavoro e economia e l’aggancio all’euro aveva una valenza politica, fare parte del treno dell’Europa. Dell’Europa del compromesso tra popolari cattolici e socialdemocratici, del centrosinistra, insomma.
Tutte le istituzioni sovranazionali sono segnate da una valenza di centrosinistra, diciamo da un’idea di interventismo statalista. Solo che lo statalismo non è più nazionale ma sovranazionale, e si accoppia contro natura invece a uno sfrenato liberismo attraverso le nazioni. Non può stupire quindi che spesso l’opposizione alle istituzioni sovranazionali, che sia l’Europa unita o il Fondo monetario, sia radicale, a volte di destra, in una chiusura nazionalista o regionale – vale per la Danimarca come per la Lega, per l’Ungheria come per i Veri finalandesi o il Vlaams fiammingo – e a volte di sinistra.
La questione sembra quindi questa: senza un piano per il lavoro e la produzione qualunque governo di centrosinistra a petto della crisi che attanaglia le economie del mondo è destinato a frantumarsi. Dove governa il centrodestra, può pure essere che vinca le elezioni, ma si troverà a gestire il disastro se non costruisce un progetto che abbia al centro questi due temi. Forse vale meno per le amministrazioni municipali, tipo Milano e Napoli, e regionali, tipo la Puglia, ma è molto forse. Auguri. Ma l’Europa, quella delle nazioni, non quella di Bruxelles, va a destra.
Che c’azzecca tutto questo con la Calabria? C’azzecca perché in Calabria s’è avuta una giunta di centrosinistra per cinque anni che è stata punita duramente alle scorse regionali e su cui è stata messa una pietra tombale alle recentissime amministrative. Loiero ha perso perché troppo scapocchione o compromesso? Non credo proprio, Loiero ha perso perché fra le tante, troppe iniziative spumeggianti della sua giunta la questione del lavoro, della disoccupazione dei giovani, di un qualche piano per la produzione non è mai passato per l’anticamera del cervello. Non è mai stata comunque centrale. E con tutto il rispetto per altre questioni, per la Calabria il problema centrale è il lavoro. Alla resa dei conti s’è presentato con le mani vuote, e Scopelliti aveva dalla sua il fatto di essere un investimento elettorale, con il vantaggio di stare dalla parte del governo. L’investimento, a quanto, pare è stato reiterato in queste amministrative comunali. Può fare qualcosa per la Calabria Scopelliti? Chissà, forse per Reggio, dove è la sua roccaforte e dove si è portato i milioni dell’area metropolitana. Ma con sti chiari di luna e la Lega che spinge per portarsi dalle sue parti tutto quel che rimane, raschiando il fondo del barile, a me sembra proprio difficile.
Di sicuro Scopelliti non ha opposizione. E non mi riferisco all’opposizione istituzionale di quello che fu il centrosinistra. Mi riferisco all’opposizione sociale. Ai giovani, soprattutto. Indignados. O incazzati che dir si voglia. Qui, sul piano dell’opposizione sociale siamo a zero carbonella. Per dire, pure un Movimento 5 stelle che dappertutto in Italia viaggia con il vento in poppa qui ha numeri da prefisso telefonico, zero virgola qualche cosa o intorno lì. Ed è male, mica bene.
Eppure, la Calabria dovrebbe scoppiare. Con questi numeri di disoccupazione. Come la Grecia, come la Spagna. Le piazze principali di Reggio, Catanzaro, Cosenza, Vibo, Crotone, si dovrebbero riempire di giovani, come in Grecia, come in Spagna.
Perché non succede? Perché non c’è malessere, perché il familismo riesce a far da argine alla crisi, perché c’è una media borghesia che si è arricchita di appalti, di politica, di sanità, di affari sporchi e continua a far girare il denaro con i suoi consumi? Magari la borghesia media trafficona c’è, ma quella piccola e gli strati sociali che vivono di lavoro e stipendio fanno i salti mortali. Perché non si usa abbastanza internet e twitter e facebook, come dicono le statistiche? Via, è una cazzata, qui da sempre basta affacciarsi da una finestra per parlare a quella di fronte e le cose succedono. E mica per il gusto dell’incazzatura, dico. Nel convincimento che le modificazioni accadono nel conflitto e nelle soluzioni – sempre un po’ di più di quello che c’era prima, sempre un po’ di meno di quello che ci aspetterebbe – tra movimenti e istituzioni.
Le istituzioni però ci sono. E i movimenti? Senza una canalizzazione politica – informale, assurda, incongruente, populista, dal basso, di lato, qualsiasi cosa – non c’è “voce”. E in Calabria, paradossalmente, questa situazione – anche la crisi dei partiti tradizionali – può essere il lievito di qualcosa di nuovo.
Lasciamolo stare il “vento del nord”. Qui non arriva, e quando arriva gela solo le infioriture. E se c’è qualcosa che serve adesso da queste parti è proprio scongelare le cose. Ne vogliamo parlare?

Nicotera, 24 maggio 2011
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