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salva invia
08 Ottobre 2012
Dalla parte del dollaro senza se e senza ma. Se vince Obama però
È curiosa sta cosa: la Boj [Bank of Japan] ha risposto alla decisione di Ben Bernanke della Fed americana – quella, cioè di programmare un’iniezione di 40 miliardi di dollari al mese finché i livelli di occupazione non indichino «uno stato di salute» – con un altro quantitative easing incrementando il programma di acquisto di titoli di Stato di 10mila miliardi di yen, ovvero 98 miliardi di euro; e la Banca popolare della Cina nell’ultima settimana di settembre ha pompato una liquidità record nel sistema di 365 miliardi di yuan [o renminbi], circa 52.7 miliardi di dollari; ma tutto il mondo rompe le palle a Ben. Sarebbe lui, con la conseguente svalutazione del dollaro, il responsabile della «guerra delle valute», definizione di Mantega, ministro brasiliano delle Finanze, che ha visto il suo real apprezzarsi di consistenza e quindi è preoccupato per le esportazioni e per la frenata del tasso vertiginoso di crescita fin qui seguito dal suo paese.
Scusate, che dovrebbe fare Bernanke, girarsi i pollici e assistere impettito al naufragio del dollaro? Il suo commander in chief, Obama, è in guerra con una disoccupazione che si rovescia troppo lentamente e un mare infestato di squali che è il mondo della finanza, capace di trasformare i prestiti avuti – sotto patto che li usassero per allentare il credito a imprese in famiglie – in lauti profitti, in particolare proprio nel trade delle valute. Con un tasso di interesse prossimo allo zero assoluto e pure una inesistente circolazione di denaro e di credito – le banche hanno tagliato del 22 per cento la circolazione sulle carte di credito: se si ha anche una minima idea di quello che significa in America, dove la carta di credito te la tiravano dietro purché fossi in grado di afferrarla, si capisce come stanno le cose – che può altro fare se non dire urbi et orbi: «Ok, gente, le cose stanno così: io stamperò dollari a iosa finché le cose non si rimettono a posto»?
Facciamo a capirci: uno, questa non è una guerra delle cannoniere, e quand’anche – ed è vero – le decisioni sulla moneta hanno risvolti reali concreti e pesanti, una guerra delle valute è meglio di una guerra delle cannoniere; secondo, non è che da una parte c’è la volpe e dall’altra le galline nel pollaio, non mi pare proprio questi possano essere i ruoli per Bernanke [la volpe] e la Cina o il Giappone o il Brasile o la Russia [le galline]. Se è vero – ed è vero – che i rapporti di forza nel mondo si vanno modificando, non è che uno [per dire, il Brasile] può fare un giorno la parte della nuova potenza, attraendo capitali stranieri con tassi di interesse appetibili, e poi il giorno dopo vestire i panni della colonia che bercia contro l’imperialismo del dollaro.
L’obiettivo della determinazione di Bernanke – almeno che quei fuoriditesta di repubblicani non vincano e lo mandino a casa, che gliel’hanno giurata – è ridurre la disoccupazione, e avere a breve buoni numeri pure per la campagna elettorale di Obama – che male c’è? Un altro obiettivo, in trasparenza, sono i cinesi: i cinesi mantengono lo yuan a cambio fisso col dollaro e allo stesso tempo aumentano la circolazione mondiale di yuan [quindi tenendolo sottovalutato, come gli è stato ripetutamente detto, invitandoli a intervenire ma non ci sentono da st’orecchio].
Certo, ci va di mezzo pure l’euro, che intanto si apprezza.
Beh, se devo schierarmi in questo ipotetico gioco di ruolo della guerra delle valute, credetemi io non sto con Schäuble [ministro delle Finanze tedesco], Weidmann [capo della Buba, la Bundesbank] e la Merkel, io vado dritto dritto dalla parte del dollaro, di Bernanke e di Obama.
Se c’è Obama, appunto.

Nicotera, 7 ottobre 2012
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