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06 Agosto 2012
È che pe’ certe cose ariva ‘r momento che nun te regge più la pompa
TENTA RAPINA A POSTE CON FINTA BOMBA, POI COLPITO DA INFARTO, SALVATO DAI CARABINIERI A ROMA (ANSA) – ROMA, 28 LUG – «Non sono qui per aprire un conto. Datemi tutti i soldi che avete o vi faccio saltare in aria», e sul tavolo poggia un pacco di colore nero, un groviglio di cavi elettrici simile a una bomba da mortaio. A parlare un pregiudicato di 54 anni, che ieri ha tentato una rapina in un ufficio postale a via Palmiro Togliatti, a Roma. L’uomo ha minacciato di far esplodere una bomba, rivelatasi falsa, e dopo è stato colto da un malore, un forte dolore al petto. Immediatamente trasportato all’ospedale Sandro Pertini dagli stessi carabinieri che lo avevano preso in custodia, è stato dapprima rianimato, poi sottoposto ad un intervento chirurgico d’urgenza perché colpito da infarto. Alla fine, il 54enne se la caverà con qualche giorno di ricovero, dopo aver ringraziato, insieme ai suoi familiari, i carabinieri.

È che pe’ certe cose ariva ‘r momento che nun te regge più la pompa.

Alle 5.38 varcò il cancello d’ingresso, una pura formalità i controlli, conoscevano l’automobile e tutto. Era da diciotto anni, sei mesi e trentotto giorni che conoscevano tutto di lei. Indossò la divisa, i pantaloni tiravano un po’ sulle cosce, stava ingrassando e avrebbe dovuto mettersi a dieta. Avrebbe dovuto. Mise il berretto. Alle 5.58 prese servizio. Carcere di Rebibbia, sezione femminile. Assistente Capo, e non sarebbe mai salita di più nella gerarchia. Sarebbe stata una lunga giornata oggi. Le previsioni meteo davano 38 gradi, all’ombra. Chissà nelle celle quale sarebbe stata la temperatura. Avrebbero dovuto tenere aperte le porte, almeno circolava un po’ d’aria, o magari aprire i cancelli e farle uscire in corridoio o mandarle al camerone. Avrebbero dovuto. Col caldo, con il caldo così forte, andavano fuori di testa, bastava un nonnulla per irritarle, per litigare, per mettere su un casino. Lo dicono le statistiche: col caldo aumentano i reati. Pure in carcere, mica solo per strada o nelle case. E le statistiche non sbagliano mai, stanno lì apposta. Dovevano fare il giro delle celle, controllare le sbarre, vedere se qualcuno aveva bisogno del medico, ritirare le domandine per colloqui, permessi e cose così. Poi sarebbe passato il carrello con la colazione, che sistematicamente tutte rifiutavano, poi la spesina per prendere gli ordini, la pasta, il caffè e cose così. Poi potevano andare al passeggio, e pure con questo fuoco sul cemento dei cortili quasi tutte sarebbero scese. Bene, sarebbe stato il momento giusto. Alle 8.17 aveva finito il giro, licenziò l’agente scelto Campidelli Annunziata e l’agente Solano Giuseppina, e disse che avrebbe dovuto sbrigare un po’ di cose. Imboccò il corridoio centrale e lo percorse fino in fondo, verso la cella numero 4, singola. Aprì con la chiave la porta, poi il cancello, poi imboccò dentro. Cominciò a spogliarsi.

Metteva le pillole sul palmo della mano. Tutte le pillole del reparto. Quelle del mattino. Gli altri infermieri ci provavano a fare come lui, certe volte erano volate pure delle scommesse – un crodino, un amaro, cose così, era giusto un gioco –, ma non ci riusciva nessuno. Nessuno aveva le mani grandi come le sue. Era per quello che lo mettevano nei reparti tosti, coi pericolosi. Per via delle mani, per via della forza. Ne aveva di forza in quelle mani. E ne aveva fatti partire di schiaffi, quando serviva, per tranquillizzare i matti. Meglio d’una siringa di aloperidolo, di clozapina o di tioridazina. Scrivevano così, poi, i dottori nel referto. «Alle ore 17 e 25 abbiamo dovuto tranquillizzare il paziente con un neurolettico». Erano le sue mani, che avevano usato. Ora stava mettendo le pillole sulla mano, quelle blu, quelle verdi, quelle rosse, quelle gialle. Un trionfo cromatico. A volte le separava per colore, sembravano comporre una tavolozza, più spesso le mescolava. I pazienti si divertivano a prendere le pillole dalle sue mani. Quelli cui avevano messo la camicia – ufficialmente non c’erano più le camicie di forza, però – allungavano il collo e tiravano fuori la lingua. E ridevano, sguaiati, osceni. «Dammi la blu, la blu, oggi voglio la blu». Oggi sarebbero rimasti a secco. Oggi le pillole erano tutte per lui, quelle blu, quelle verdi, quelle rosse e quelle gialle. Le mise in bocca tutte in una volta, le masticò, le mandò giù aiutandosi con dell’acqua. Poi si diresse verso la stanza 14, quella dove nessuno dei suoi colleghi voleva entrare da solo. Aprì la porta, cominciò a battere le mani, come per un applauso, prima piano, poi con sempre più ritmo.

30 LUGLIO. (AGENZIA DELLA BUONA NOVELLA). Dopo l’episodio al Tiburtino, coi carabinieri che sono intervenuti per assistere e salvare il rapinatore infartuato, ieri altri due episodi singolari: Ferlito Clementina, Assistente Capo del carcere femminile di Rebibbia, è stata trattenuta sul posto di lavoro ma in qualità di imputata del reato di evasione. L’accusa è di complicità nella fuga della detenuta Corleo Pasqualina, uxoricida, che, indossata la divisa della Ferlito e spacciandosi per lei, è uscita dal portone principale con l’automobile dell’agente di custodia. La Ferlito si rifiuta di rispondere a qualsiasi domanda e ha detto solo di essere a dieta, che avrebbe gradito dei pasti leggeri. Ancora più sorprendente l’episodio accaduto all’Ospedale psichiatrico: l’infermiere Giovanni Scaffidi si è volontariamente sostituito a un paziente, Armando Tagliavento, di cui si sono perse le tracce. Lo Scaffidi è stato trovato su un letto di contenzione con indosso una camicia di forza, oggetti che deve avere recuperato da chissà quale soffitta o scantinato. È assolutamente certo che lo Scaffidi per portare a termine il suo proposito sia stato aiutato dal Tagliavento. I suoi colleghi e i dottori hanno cercato di liberarlo e capire cosa sia accaduto, ma lo Scaffidi pare ripetere ossessivamente una sola parola: «Le mani, le mani». A ogni buon conto gli è stato somministrato un neurolettico. Il professore De Barbaro, ordinario all’Università di Roma Tre, neurologo di chiara fama, intervistato su questi accadimenti ha detto che è per via del caldo, che l’amigdala si gonfia e quando si gonfia so’ dolori.

Nicotera, 6 agosto 2012
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