ARTICOLI RUBRICHE SAGGI NARRAZIONI LIBRI
salva invia
10 Marzo 2013
Possiamo tirarci fuori dai debiti?
A una bambina di sette anni è stata recapitata a casa una cartella esattoriale dall’importo di 170 euro. Il provvedimento era motivato dal mancato pagamento delle tasse sulla liquidazione versata dall’azienda per cui il padre della bimba lavorava. Solo che l’uomo, purtroppo, qualche anno prima ha perso la vita in un incidente stradale, e il Fisco, non riuscendo a rivalersi sulla madre della bambina, ha deciso di notificare la cartella alla figlia. Il nonno della piccola ha dichiarato con amaro sarcasmo: «Non pago; se vogliono, le pignorino il triciclo».
Di storie come questa ne ascolti e ne leggi a centinaia, le chiamano “cartelle pazze”. Tipo, al “signor Condominio Capri, via Segantini 20, Rovereto” è stata recapitata una cartella esattoriale di Equitalia per 866 euro per due multe non pagate per aver scorazzato a folle velocità in quel di Bari; una decina d’anni fa, a essere accusata di avere sfrecciato a folle velocità, e di essere inadempiente, toccò a una chiesetta alpina in Vallarsa; in quell’occasione la multa era di 1.500 euro. Poi ci sono le così dette “cartelle lumaca”: così lente da arrivare con 35 anni di ritardo: risale al 1978 il debito per il quale un signore deve pagare 610,10 euro.
Viene da sorridere, solo che l’impazzimento delle cartelle esattoriali pare essere diventata la regola e non più l’anomalia.
C’è il pensionato malato di cuore che si è visto pignorare la pensione di 813,09 euro mensili e l’assegno di invalidità civile di 234 euro mensili. C’è la ragazza madre con uno stipendio di 1.000 euro al mese e 400 di affitto che si ritrova, a causa di multe non pagate, con un debito rateizzato di 800 al mese: non potrà farcela a pagare il suo debito che intanto continuerà a crescere. C’è il titolare di un’attività commerciale che non riesce a pagare un suo fornitore e dopo una settimana il pagamento arriva in banca, nella quale il fido era al limite; la banca gli dà un giorno di tempo per pagare, subisce quindi due pignoramenti, viene inserito nel Cai [la Centrale d’allarme interbancaria] e il suo conto viene chiuso; da quel momento non riesce a pagare i contributi, non fa dichiarazione dei redditi e il suo debito con Equitalia lievita. C’è l’artigiano che a causa di un periodo di difficoltà economica non è riuscito a pagare alcune cartelle esattoriali, che con il passare del tempo subivano maggiorazioni, accumulando un debito di circa 50.000 €; decide di rateizzare l’importo, ma le rate sono comunque troppo alte così si indebita anche per levare un fermo alla sua automobile, indispensabile per lavorare e a quel punto la banca gli chiede il rientro del fido. C’e il socio amministratore di una s.n.c. che, dopo aver preso accordi per la rateizzazione di alcune cartelle riguardanti IVA e contributi INPS non pagati, a un certo punto ha dovuto sospendere i pagamenti per problemi economici; qualche giorno dopo si è ritrovato in azienda l’ufficiale giudiziario di Equitalia che voleva procedere al sequestro degli strumenti di lavoro, ipotecare gli immobili, mettendolo al corrente che il debito ammontava a 472.000 €; il giorno stesso si è recato nuovamente da Equitalia per avere ulteriori chiarimenti e gli è stato comunicato che il debito era intanto cresciuto fino ai 600.000: era aumentato di 130.000 euro in un giorno.
Giorni fa, in provincia di Benevento un piccolo imprenditore era sparito. I familiari si sono subito allarmati perché avevano ritrovato alcune lettere da cui si capiva che l’uomo si trovava in difficoltà economiche per via di un debito e si sono rivolti ai carabinieri. Poi la storia ha avuto un lieto fine, perché l’uomo si era solo allontanato verso l’Umbria e aveva staccato tutti i contatti, voleva stare un po’ tranquillo. Ma il clima è questo: se hai debito e per un pomeriggio sei irreperibile per un qualunque motivo, le persone che ti vogliono bene pensano il peggio.
La tenaglia tra fisco e banche sta stritolando l’economia italiana: le sofferenze bancarie [i prestiti andati a male] stanno crescendo e in queste condizioni se mantenere una linea di credito già aperta è difficile, soprattutto per le piccole e medie imprese, ottenerne una nuova è praticamente impossibile, e la quota di imprese che senza liquidità non riesce a lavorare è aumentata, secondo i dati della Banca d’Italia, da una su dieci a una su tre, un record negativo storico.
Alla Banca d’Italia fa eco il Centro studi della Confindustria che ha diffuso una lunga analisi della situazione italiana lanciando un disperato allarme sul rischio che, ancora una volta, le imprese falliscano per mancanza di credito. Sarebbe il terzo credit crunch dopo quelli del 2007-2009 e del 2011-2012. Le parole utilizzate nel documento di Viale dell'Astronomia sono drammatiche: «Le banche sono sempre più selettive, i prestiti calano, i tassi salgono, molte imprese rinunciano a chiedere crediti. Così anziché lasciare il posto a una timida ripresa, la recessione può di nuovo aggravarsi».
L’attenzione politica, come le analisi e le misure approvate e da approvare, è stata tutta concentrata sul debito pubblico, anche perché si è sempre raccontato che il risparmio delle famiglie italiane era l’asset straordinario che ci permetteva di guardare con sufficienza alle esperienze negative di Grecia, Spagna e Portogallo. Ma il lungo periodo recessivo, le misure di austerità, la stretta creditizia, il bisogno di recuperare crediti da parte dello Stato — che però ha congelato i debiti della pubblica amministrazione che di fatto continuano a non essere sbloccati nonostante ventilate misure fantasiose — hanno capillarizzato il debito, lo hanno reso pervasivo. Un incubo. Letteralmente. Forse non tutte le famiglie italiane sono perseguitate da cartelle esattoriali, però di sicuro una buona parte sì. E questo dato, oltre a essere una palla al piede per ogni ipotesi di ripresa, sta devastando psicologicamente la realtà minuta e quotidiana che costituisce la struttura portante dell’economia del paese.
Se sei uno che per tutta la vita evadi, se ti arriva un’altra cartella esattoriale, fai spallucce; ma se sei uno che paga regolarmente tutto, ogni debito diventa un incubo, non ci dormi la notte. Le sofferenze bancarie sono sofferenze familiari. Come per la ricerca di lavoro scatta un meccanismo che a un certo punto crea una sorta di disaffezione, di sfiducia, per cui non vai neppure più a un Centro per l’impiego o in qualunque altro posto a vedere se salta fuori qualcosa, così è per il credito e per i debiti pregressi: a un certo punto, dopo decine di dinieghi, dopo che ti sono state prospettate soluzioni impossibili e impraticabili, scatta un meccanismo per cui non ti sbatti più e succeda quel che succeda.
È qui che accanto il dolore e la frustrazione lievitano il rancore e la rabbia.
Non c’è alcun automatismo tra riduzione dello stock del debito pubblico e ripresa; così come non c’è stato alcun automatismo tra immissione di liquidità nel circuito bancario [che ha preso a prestito il denaro dalla Bce all’1 per cento] e ripotenziamento del credito.
Se non si mettono in campo idee e misure contro il debito privato questo paese resterà stremato. Un condono, una sanatoria, un azzeramento di more e interessi riducendo all’osso quanto dovuto, considerando che è immorale in molti casi la lievitazione del debito?
Qui non si parla di diritto all’insolvenza — senza minacce, senza foschi presagi, che, pure, insomma —, ma di misure legalitarie, di provvedimenti che temperino il clima generale di scoraggiamento.

Nicotera, 10 marzo 2
[torna su]
politiche
economie
culture
società
mailto