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06 Aprile 2013
Twittereuses e tricoteuses: Totò Cuffaro e la ghigliottina in 140 caratteri
Avrà pure ragione Bob Stein — uno dei pionieri nel passaggio dall’editoria a stampa a quella digitale — quando dice che «con il tempo nuove tecnologie daranno luogo a nuove forme di espressione ancora da inventare». È convincente, d’altronde, la sua tesi: «l’era della stampa iniziò nel 1454, ma ci vollero più di duecento anni perché nascesse una forma riconoscibile come un “romanzo”»; e quindi chissà quanto ci vorrà ancora perché dalle moderne forme di comunicazione, i social network, per dire, venga fuori una nuova forma di espressione. E chissà come si chiamerà. Però, intanto, da noi le cosiddette piazze virtuali sembrano troppo affollate di tricoteuses sotto forma di twittereuses; scrivono tweet compulsivamente invece che lavorar di maglia, come tante madame Defarge — è il personaggio crudo e crudele, uno dei caratteri più riusciti, delle Due città di Dickens, che si svolge al tempo della Rivoluzione francese —, e intanto vomitano volgarità e livore gratuiti per tagliare la testa a chiunque gli capiti a tiro.
Con Totò Cuffaro, appena si è sparsa in rete la notizia che il suo libro, Il candore delle cornacchie, veniva presentato dalla casa editrice che l’ha pubblicato nel 2012, Guerini e Associati, all’ultimo premio Strega, si sono scatenate, le twittereuses. E, per la verità, mica solo loro, che appena l’agenzia di stampa ha fatto il giro delle redazioni — la notizia è ghiotta, certo — anche i gran giornali si sono lasciati andare, nei titoli e nell’impaginazione delle immagini: il faccione di Cuffaro, di quando mangiava cannoli a tinchité che mo’ s’è fatto un’acciuga, tra quello di Walter Siti, candidato favorito allo Strega benché per il libro più brutto tirato fuori in questi anni, e quello di Aldo Busi, «il più grande scrittore italiano vivente», come con ragione diceva di sé quando vivo lo era davvero, era abbastanza straniante. Pensi: ho sbagliato pagina, hanno confuso immagine, che grafici hanno questi?
Ora, Totò Cuffaro è in prigione e sta scontando una pena. È un fatto normale, certo: uno commette un reato, o comunque un processo ha stabilito che abbia commesso un reato, viene comminata una condanna, e quello si ciuccia la galera, protestando la propria innocenza per lo più. E può fare anche piacere che un “potente” — Cuffaro in Sicilia, oltre a essere governatore della Regione, era davvero un potente intrigato in tutti gli affari — morda la polvere, che almeno ogni tanto accada, che una certa tracotanza venga punita. Però, detto questo, Cuffaro sta pagando e resta un uomo di questo paese. O no? Avrà pure il diritto di fare il cappero che gli pare, scrivere canzonette, preparare sermoni mistici, accumulare ricette gastronomiche, collezionare figurine. O no?
Quando, l’anno scorso, il libro uscì, ne parlò Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, che fece un’intervista a Cuffaro. Una gran firma, un gran giornale, un paginone, un gran risalto. Un articolo misurato, in cui nulla veniva taciuto o sottaciuto, in cui non mancava una certa ironia — per come gira la ruota della vita, non per cinismo —, ma c’era rispetto e per la condizione in cui si trovava Cuffaro, detenuto a Rebibbia, tra le mille angherie che consideriamo normali debbano far parte della vita quotidiana di un detenuto, e per lo sforzo di riconquistarsi una vita, una qualunque vita, che l’ex governatore siciliano era determinato a compiere.
Perché non avrebbe dovuto scrivere un libro, per pudore? Gli scaffali delle librerie commerciali sono pieni di gente del cinema e della televisione, di ex attrici del porno e ex soubrettes che raccontano della loro conversione a Medjugorje o a Pietrelcina, di tossici che ci parlano della loro tristissima e noiosissima vita, delle loro ossessioni e di quel mondo, di ex top model che ci raccontano di diete anoressiche, di sconce attitudini paparazzare, di lumicini di verità a cui si sono aggrappate, di ex calciatori, di ex ministri, di ex terroristi, di ex generali, di ex cantanti o cantautori, di ex dubbie o accertate celebrities, perché Cuffaro no?
Uno magari accomodante dice, vabbè ha scritto un libro — fra tanta spazzatura, può starci pure questa —, ma andare allo Strega poteva risparmiarcelo. Mica l’ha voluto Cuffaro presentarsi allo Strega. Parlate di questo, allora. Parlate del libro. E dello Strega.
Certo, c’è chi ci sta marciando sopra. Che so, penso agli Amici della domenica che l’hanno presentato [tra i 400 Amici, ogni anno, a coppie, ci si fa mallevadori di un libro e un autore perché entri in selezione], Marco Staderini e Gianpiero Gamaleri, entrambi ex del consiglio d’amministrazione Rai, in quota “area cattolica” [Staderini era dell’Udc e Gamaleri insegna alla Pontificia Università della Santa Croce]. Penso a questo spirito cattolicissimo , «senso religioso», l’ha definito l’editore Guarini — la prefazione è di monsignor Fisichella — che intreccia fede e resurrezione civile. Monsignor Fisichella è un lungo elenco di cariche: segretario della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, membro della Congregazione delle Cause dei Santi, del Pontificio Consiglio per la Cultura, del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, e presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Dite che questi “titoli” non ne fanno un influente uomo della cultura italiana? Che siamo alle solite italiche cose, Chiesa perdonista versus Stato di fermezza, Chiesa grande madre dei peccatori versus Stato patrigno? Beh, Fisichella è medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte, un premio che viene conferito per decreto del presidente della Repubblica Italiana e su proposta del ministro per i Beni e le Attività Culturali a un’apposita commissione di valutazione di cui fanno parte esponenti delle accademie italiane. Lui l’ha avuta nel 2005. Altro che Chiesa versus Stato. Questa è la massoneria della Grande Accademia Repubblicana.
Perché Fisichella era pure amico di Oriana Fallaci, e ottenne per lei un'udienza privata con papa Benedetto XVI. E Oriana Fallaci è una colonna laica della nostra cultura.
Sotto codesto largo manto, può ben starci Cuffaro, no? Altro che pressioni di case editrici e telefonate sgradevoli al limite delle velate minacce, come ha raccontato Emanuele Trevi, amico della domenica che s’è tirato fuori dalla giostra quest’anno. Qui, nel caso di Cuffaro, stiamo direttamente a contatto col cielo.
Ecco, parlate di questo, twittereuses del cazzo.

Nicotera, 6 aprile 2013
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