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04 Febbraio 2013
Shadow banking e mercato della finanza: tre paradossi
Per provare a capire che succede nella finanza mondiale vi propongo tre paradossi.
Il primo è che bisogna partire da Lenin e arrivare a Wen Jiabao, il primo ministro cinese. «Mano a mano che le banche si sviluppano, e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industriali, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di Paesi». Questo è Lenin, profetico, in L’imperialismo, fase suprema del capitalismo. 1916.
«Francamente, le nostre banche fanno profitti troppo facilmente, perché occupano una posizione di monopolio ed è necessario ridurre la loro influenza politica e affrontare una vera riforma del sistema finanziario, cominciando con ridimensionare i grandi monopoli bancari». E questo è Wen Jiabao, pragmatico, durante un discorso nella provincia del Fujian, dopo che le banche sono entrate nel mirino dello scontento e della rabbia popolare, specie dopo l’annuncio dei grandi profitti rivelati dai report sulle loro attività. 2011.
Il paradosso che vi ho proposto — leggere l’evoluzione del sistema finanziario mondiale attraverso la parabola di un secolo di rivoluzione comunista — spiega però bene l’integrazione attuale mondiale dei mercati, la loro interdipendenza e il pluspotere delle grandi concentrazioni finanziarie. Insomma, i dirigenti cinesi non devono ancora vedersela con un “Occupy Shanghai Composite Index” (l’indice della Borsa Cinese), però se Atene — Wall Street, il liberismo occidentale — piange, Sparta — Pechino, il capitalismo di Stato comunista — non ride.
Il fatto è — secondo paradosso — che Wen Jibao parla come Richard Fisher, presidente della Federal Reserve di Dallas, il più ”repubblicano” dei governatori regionali del Board e il più accanito oppositore delle politiche di liquidità operate da Bernanke, capo della Fed. Nel Report annuale del 2011, significativamente titolato Why We Must End Too Big to Fail — Now, Fisher dice: The too-big-to-fail institutions that amplified and prolonged the recent financial crisis remain a hindrance to full economic recovery and to the very ideal of American capitalism. It is imperative that we end TBTF - «Le istituzioni troppo-grandi-per-fallire che hanno amplificato e prolungato la recente crisi finanziaria sono un ostacolo alla piena ripresa e al vero ideale di capitalismo americano. È imperativo che si cambi registro». Ostacolo, imperativo, ideale americano di capitalismo (Wen Jiabao più pudicamente non parla di ideale di comunismo): parole forti. D’altronde, la legge Dodd Frank che si supponeva dovesse porre dei limiti a Wall Street non ha impedito la continua concentrazione dell’industria bancaria. Oggi le cinque maggiori banche americane sono arrivate a controllare il 52% della ricchezza.
La crisi finanziaria è stata anche una morìa delle banche: a leggere la pubblicazione dell’Area Studi di Mediobanca, su Interventi dei governi nazionali a favore delle banche e degli istituti finanziari in Europa e negli Stati uniti dal 2007 al giugno 2012, la Fed e il Tesoro americano hanno pompato liquidità su 1400 banche, ma di queste ben 407, anzi 437 se si aggiungono le attività di supporto, insomma quasi un terzo, sono state oggetto del FDIC, Federal Deposit Insurance Corporation, cioè hanno subìto processi di ristrutturazione a seguito fallimento: i depositi sono finiti a altre banche, ma quelle dentro il FDIC, ed erano banche territoriali, che so la Bank Of Clarke County, di Berryville, Virginia, oppure la Ocala National Bank, di Ocala, Florida, sono state assorbite o hanno chiuso. In Europa non è andata così: gli interventi europei sono stati 437 ma di questi ben 258, più della metà, hanno riguardato istituti italiani, senza che alcuno chiudesse. La differenza è notevole: in Francia solo 8 istituti sono stati coinvolti, e 13 in Germania e 18 in Gran Bretagna, dove peraltro è planata quasi la metà dell’intero ammontare europeo di denaro investito, e si capisce considerando l’importanza di Londra come piazza finanziaria internazionale.
Insomma, la polverizzazione territoriale del sistema finanziario americano ha subìto un altro duro colpo dalla crisi; in Europa sembra resistere, con difficoltà — e basterebbe pensare alle banche regionali tedesche, al riparo sinora grazie alla volontà ferrea della Merkel — solo che non abbiamo idea di cosa può ancora succedere: tra il dicembre 2008 e il giugno 2012 l’evoluzione del sostegno alle banche in Usa è passato da 2.149 a 2.853 miliardi di dollari ma già nel marzo 2009 era di 2.642, è stato cioè sinora costante e massiccio e se senti Bernanke non ha alcuna intenzione di cambiare, almeno finché i numeri di una ripresa economica e di una forte riduzione della disoccupazione non siano significativi; in Europa, nello stesso periodo, si è passati da 717 a 2.696 milardi di euro, un balzo enorme. Si è arrivati, cioè, a una situazione simile di crisi delle banche ma qui da noi o la si è sottostimata all’inizio o la si è celata, e soprattutto si può temere che questo ritardo provochi ulteriori crisi e una contrazione del credito gravissima per ogni ipotesi di rilancio della crescita. Diciamo che i numeri danno l’impressione di una navigazione europea a vista, sempre più nella nebbia. Forse, i guai devono ancora arrivare.
La questione è che quanto più si possa cercare di rendere stringenti le regole per le banche, tanto più cresce il sistema bancario ombra, lo shadow banking. Per spiegare cosa sia, mi rifaccio al green paper rilasciato dalla Commissione europea nel 2012, che a sua volta richiama il lavoro del Financial Stability Board: «Un sistema di intermediazione creditizia che, però, coinvolge entità al di fuori del sistema bancario tradizionale, enti che non sono banche ma sono impegnati ugualmente in attività di finanziamento e deposito: trasferimento del rischio e utilizzo diretto e indiretto della leva finanziaria, oltre ad attività di cartolarizzazione, prestito titoli e pronti contro termine». Vogliamo avere un’idea di questo “lato oscuro” della finanza internazionale in termini di “peso” (e non solo economico, ma politico, seguendo le preoccupazioni di Wen Jiabao)? Secondo l’FSB, nel 2010 la dimensione del sistema bancario ombra a livello mondiale era pari a circa 46.000 miliardi di euro, rispetto ai 21.000 miliardi di euro del 2002. Si tratta di una cifra che rappresenta il 25-30% dell’intero sistema finanziario e circa la metà delle attività bancarie. Il fatto è che lo banking shadow fornisce un’alternativa per gli investitori e una diversificazione del rischio del sistema bancario. Della serie: è il mercato, bellezza. E questo — un mercato del denaro che quanto più cerca di darsi delle regole per non impazzire e tanto più impazzisce — è il terzo paradosso.

Messina, 4 febbraio 2013
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