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salva invia
27 Maggio 2013
La mannaia, il piccone e la pentola a pressione
Siamo buoni tutti a fare sociologia col culo degli altri. Alla lunga, non è che funziona poi tanto.
Certo, c’è un “naturale” bisogno di catalogare, separare prima e ammucchiare poi, ogni gesto che squinterna la nostra abituale ordinarietà: dopo Werther, i suicidi dei giovani furono addebitati al Romanticismo; dopo il caso della signorina Dora, attribuimmo ogni isteria e ogni relativa patologia al complesso di Edipo; dopo il Vietnam, dopo la guerra del Golfo e l’Afghanistan sappiamo che ogni militare fuori di testa soffre di PTSD, sindrome da stress post traumatico; ora, tutti gli uomini che odiano le donne hanno una etichetta: femminicidio. È accaduto sempre, con le avvelenatrici o con gli angeli della morte negli ospedali, continua a accadere.
Far risalire il male a una qualche origine — quando scoppiarono le bombole alla scuola Falcone-Morvillo di Brindisi pensammo subito a un attentato di mafia, con orrore ma anche quasi con sollievo della ragione — è istintivo, da quando siamo essere razionali, da quando sappiamo che il diavolo è nei dettagli però all’ingrosso non è che ci faccia meno paura. Certo, però, un qualche rapporto “oscuro” si istaura tra noi che osserviamo e ciò che accade, se d’improvviso per una settimana sembra che tutti i mastini d’Italia si siano messi d’accordo per azzannare bambini e nonne e finalmente conosciamo che ci sono cani-killer e le “regole di ingaggio” se vuoi tenerne uno e i rischi, e poi d’improvviso si passano parola e tornano cheti. Tutte le mamme del mondo per una settimana sembra non facciano altro che infilare i figli nella lavatrice o affogarli in una vasca da bagno o prenderli a zoccolate; poi, d’improvviso, tornano a carezzarli, a custodirli gelosamente, a proteggerli amorevolmente. Ragazze madri scaricano feti nei water, abbandonano neonati nei cassonetti o li gettano dai balconi, tutte nella stessa settimana, poi più nulla. La categoria dell’orrore funziona come la rimozione: entrambe contano sulla nostra distorsione della memoria. Categorizzare aiuta, ma deforma la nostra percezione della realtà: basta vedere le campagne politiche per la “sicurezza” e le statistiche reali della polizia, è successo a Boston, mica solo a Milano. E qui non è come etichettare una nuova corrente d’avanguardia dello sperimentalismo in pittura o letteratura.
Oggi usiamo con disinvoltura una nuova grande “categoria-attrezzo”, il terrorismo. È terrorista Michael Adeboloja, uno dei due giovani inglesi di origine nigeriana, che dopo essersi convertito dal cristianesimo all’islam, decide con mannaia e coltello di uccidere il primo soldato che incontra; è terrorista Mohamed Merah, il giovane francese di origini algerine, autore dell’assassinio di sette persone in pochi giorni a Tolosa; sono terroristi i due fratelli ceceni Tsarnaev che alla maratona di Boston hanno fatto una strage preparando mortalmente una pentola a pressione.
Davvero sono terroristi guidati dall’islam? Non è piuttosto che siano stati loro a “convertire” l’islam, a utilizzare una qualche cazzo di ideologia a portata di mano che potesse essere plausibile per quel male oscuro che covavano dentro, per dare una lucidata a quel groviglio di tubi che si portavano nella testa? Tornasse oggi Dracula dalla Transilvania e avesse un sito web per spiegare le sue ragioni e mobilitare i “non ancora morti e non più vivi”, puoi scommetterci che farebbe milioni di proseliti nel mondo pronti a vampirizzare i vicini di casa.
Dici: è l’immigrazione, o l’assimilazione che non funziona, guarda che succede nella civilissima Svezia, con un intero quartiere in rivolta, e ti sei dimenticato delle banlieus francesi di solo qualche anno fa? Però, il volto inglese dell’Olimpiade di Londra, l’anno scorso, era stato quello della velocista Christine Ohuruogu, nigeriana come Adeboloja. Però, a Marsiglia neanche un mese fa un ragazzo di 19 anni ha ucciso una dietro l’altra tre persone con un kalashnikov e non c’entra al Qaeda, proprio nulla: e non eravamo tutti così fieri che la squadra nazionale di calcio dei bleus fosse tanto variegata? Però, non è Balotelli che hanno sulla copertina del «Time» come il “nuovo italiano”? Però, i ceceni non erano i fieri combattenti per la libertà — scomodando persino Tolstoj e il suo Chadži-Murat — contro l’oppressione dell’imperialismo sovietico?
E poi: non può essere terrorista Luigi Preiti, che con una pistola si porta fin sotto il parlamento a Roma e spara sul primo poliziotto che prova a fermarlo; non può essere terrorista Kabobo che con un piccone uccide tre milanesi in una mattina livida e ancora assonnata; non può essere terrorista il vecchio che mette assieme un accrocco con due bombole di gas dentro un cassonetto vicino a una scuola, perché gli girano i coglioni per una questione privata, e poteva fare una strage.
I ragazzini della Columbine High School si rifacevano alla supremazia ariana, e combinarono una strage. Ma quello di Newtown, a che diavolo si rifaceva per la sua strage di bambini delle elementari alla Sandy School? Nel 1927 alla Bath School nel Michigan un frigido impiegato — una specie di Vantaggiato di Brindisi — riempì di dinamite una scuola elementare perché lo costringevano a pagare una tassa che non voleva: quarantacinque morti, il più grave attentato a una scuola nella storia degli Stati uniti. Non c’era al Qaeda, allora, e neppure la Fratellanza ariana. Provi a stringere sulla vendita di armi, certo, è una buona cosa, ma faremo un registro nazionale per la vendita delle pentole a pressione nei supermercati e dei picconi negli “smorzi” per l’edilizia? Nikita, personaggio che abbiamo amato, era capace di far davvero male anche solo con una matita. Come nei racconti di Stephen King ogni cosa domestica — i coltelli di cucina, le automobili — diventa assassina. Devono avere letto Stephen King, al Zawahiri e tutti gli altri consigliori di ricette per uccidere che stanno sul web.
Dici: è che questa guerra è asimmetrica. E avevamo bisogno di due cinesi che lo scoprissero? Da quando qualsiasi rivolta non è asimmetrica? Non era asimmetrica la rivolta di Algeri? Non era asimmetrica la rivolta d’Ungheria? Quand’è che siamo diventati così delicati di stomaco?
Dici: è l’immigrazione che è in sofferenza. Certo, però pure l’adolescenza, lo è: guarda quello che accoltella e brucia il corpo della ragazzina che lo respinge, guarda come si ammazzano per nulla, una partita o uno sguardo in discoteca. Pure la maternità lo è. Pure la vecchiaia lo è. Tutto è in sofferenza.
È la nostra fragilità che viene interrogata: non la nostra fragilità umana — a quello dovremmo averci fatto il callo — ma la nostra fragilità democratica. Ricordate M, il film di Fritz Lang, quello sull’assassino di bambine di DüsseIdorf, in cui quasi alla fine un “tribunale” di brutti ceffi è pronto a uccidere il mostro per mondare se stessi? Siamo noi i brutti ceffi, la nostra democrazia è lo sgangherato tribunale pronto a emettere e eseguire una condanna del mostro. «Scappa scappa monellaccio / sennò viene l'uomo nero / col suo lungo coltellaccio / per tagliare a pezzettini».
I “terroristi” sono gli ultimi umanisti della nostra democrazia: credono si possa mostrare il bisogno di estirpare il male che ci portiamo dentro, che loro conoscono bene, uccidendo un po’ d’uomini e donne, colpevoli o innocenti, Dio saprà separarli. Dio giudicherà loro stessi, qui in terra non c’è giustizia. Non c’è innocenza. Ehi, cugino, non rompermi il cazzo, guarda che pure i miei fratelli “bianchi” rovistano nella spazzatura e fanno la fila per una minestra dei preti. Non ho bisogno che me lo vieni a dire tu che questo non è il bengodi. Vedi di mettere un po’ d’ordine in quello gnommero che hai in testa. Prenditela coi tuoi sceicchi, come io me la prendo coi miei, di sceicchi.
Non mi importa dei terroristi, non mi importa di Michael Adeboloja, di Mohamed Merah, dei fratelli Tsarnaev, di Kabobo o di Vantaggiato. A me importa di noi, di noi che restiamo qui. Più indifesi e fragili ogni volta.
Una democrazia globale — che questo siamo, un mondo unico come mai lo siamo stati — significa che dentro casa non hai solo i fiori di carta cinesi e i mobili svedesi dell’Ikea o le scarpe di ginnastica fatte in Laos, hai pure l’orrore che ti viene da dovunque, da ogni crepa della terra, da ogni ferita dell’anima, che sia a Kandahar, a Zhengzhou o in Nebraska.
Siamo capaci di sopportare questo? Non è proprio questa la sfida? La sfida dell’umano, l’adolescenza, l’immigrazione, la maternità, la vecchiaia, e tutto il resto, cioè della democrazia — che tanto più orrore susciterà tanto più entrerà e scaverà —, che sono la stessa cosa adesso.

Nicotera, 27 maggio 2013
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