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28 Aprile 2013
Political divide: metà paese è separata in casa dall’altra metà
In Friuli, come già in Sicilia, il cinquanta per cento degli elettori non è andato a votare. Si fosse limitata, la cosa, ai siciliani, si sarebbe sempre potuto parlare di eccedenza e bizzarria isolane — non è che ne siano mai mancate le occasioni —, ma i friulani sembrano fatti d’altra pasta, gente d’alta quota quanto quelli sono senza quote, intagliata nel legno o nella pietra quanto quella è riarsa, solida e radicata alla terrosità delle cose quanto quella è ballerina di terra e alla deriva nelle acque. Forse è troppo presto per ragionarci come fosse una tendenza in atto, e alle recenti elezioni regionali abbinate alle politiche del 24–25 febbraio si è registrato anzi un aumento nella percentuale dei votanti. Magari è stato l’effetto di trascinamento del voto politico, che ha comunque anch’esso registrato un calo, e poi si votava in Lazio e Lombardia; nel Lazio, dove ha vinto Zingaretti, c’è stata un’affluenza superiore a quella precedente, anche se davvero lì, per il caso Fiorito, lo scioglimento anticipato della legislatura, le dimissioni quasi imposte alla Polverini dal ministro degli Interni e da una sentenza di tribunale oltre che dalla decenza, e dopo la fine rocambolesca della precedente giunta Marrazzo, si può davvero parlare di “eccezionalità dell’appuntamento”; e in Lombardia la lunga sequenza di consiglieri e assessori implicati in situazioni quanto meno imbarazzanti se non proprio di rilievo penale e l’importanza assunta dal voto per il segno impostovi dalla Lega — la macroregione del Nord, il 75 per cento delle entrate fiscali da lasciare al territorio — ne hanno amplificato il senso. In ogni caso, non si dovrebbe neppure fare finta di niente.
Ci sono due fenomeni che in qualche modo si possono accostare, senza sovrapporsi, a questo, di una maggioranza o quasi di elettori che non esercitano più il loro diritto/dovere di voto: il primo è quello riguardante le persone che non cercano più lavoro, perché non lo trovano, e sono scoraggiati tanto da non mettersi più in fila, non consultare gli elenchi ai Centri per l’impiego, non mandare in giro curriculum, non bussare più ad alcuna porta, non chiedere neppure più alla cerchia degli amici e dei parenti; sommando i circa tre milioni di inattivi con i circa due milioni di disoccupati arriviamo a una cifra consistente che va vicino alla metà della forza lavoro disponibile, con grosse concentrazioni tra le donne e i giovani e nel Sud, quindi con notevoli squilibri nella distribuzione regionale. Detto tra parentesi, a guardare questi dati viene da pensare quanto sia ideologica e indecente la posizione di chi è contrario all’introduzione del reddito minimo di cittadinanza perché “scoraggerebbe” le persone dalla ricerca di un lavoro, acquietandole in un universo assistito, e in definitiva di parassitaria sopravvivenza. Ideologica perché sembra aggrappata a un universo di riferimento dell’occupazione di massa e della produzione affluente che nessuna ripresa e nessuna crescita potrà mai più garantire; e indecente perché hanno la faccia di tolla di dirlo con l’aria di chi di preoccupa per te e cerca il tuo bene, quando lo “scoraggiamento” da non lavoro è già un dato di fatto.
L’altro fenomeno da accostare riguarda la diffusione di internet e della rete, di cui si fa un gran parlare per la sua influenza politica e per la deliberazione democratica — è l’inferno o il paradiso? —, e che in realtà resta confinato a ventinove milioni di italiani — peraltro in statistiche di ammucchiate comuni dove gli utenti più pervicaci stanno assieme a quelli che in rete ci vanno solo una volta al mese e magari solo per la posta elettronica —, con una distribuzione più intensa in alcune province e non in altre, diverse zone del Sud connesse poco e male, e con venti milioni che non frequentano la rete e che sembrano indifferenti, refrattari [non gliel’ha mica consigliato il medico, e non è mutuabile], ma continuano a vivere benissimo senza e, soprattutto, a poter mantenere, se si vuole, un buon livello di informazione sugli eventi attraverso strumenti più tradizionali: la radio, moltissimo, la televisione, i giornali locali.
Potremmo dire — con beneficio d’inventario, certo — che metà del paese è “separata in casa” dall’altra metà. Non è propriamente una divisione geografica e non è neppure una divisione verticale, nel senso che non si riconoscono facilmente questioni di reddito, di sicurezze sociali, di appartenenza e identità, di ruolo, di età, che in qualche modo renderebbero similare una metà e altrettanto quell’altra. Invece, non è così. Le due metà non sono speculari, e alcuni caratteri di densità — per la mancanza di lavoro il fatto che la concentrazione più alta stia fra i giovani, oppure fra le donne e comunque dove bassa è la scolarizzazione, per la connessione il fatto che le persone anziane siano le più refrattarie e le aree metropolitane più periferiche come i comuni più piccoli, mentre invece scolarizzazione, età e status rendono più similari gli utenti forti, in generale perché nel Sud le negatività sembrano maggiori — contraddicono ogni semplificazione.
Però, adesso qui è solo una suggestione senza alcun dato di indagine, si può ragionevolmente dare un segno politico a queste sconnessioni, a questa mancanza di relazione, a esempio fra chi lavora e chi non cerca più lavoro, a esempio fra chi ossessivamente segue ora per ora il proprio account su twitter o facebook e chi ha una tastiera impolverata o non possiede neppure il computer, fra chi si scalda per l’ultima puntata di Ballarò e chi quella sera ha visto per l’ennesima volta una vecchia fiction Rai. Sempre evitando ogni sovrapposizione fra i fenomeni, c’è una parte “forte” [uso il termine come lo si usa per i libri e i lettori forti] del paese che nelle differenze di collocazione sociale partecipa alle sue vicende politiche e ai suoi destini economici, che si appassiona e si lacera e si posiziona; e c’è una parte “debole” che è diventata refrattaria a ogni messaggio, è delusa senza riuscire a diventare cinica, è scoraggiata e chiusa a riccio.
Mutuando un termine legato alla diffusione di internet, il digital divide, parlerei proprio di un political divide.
È qualcosa di molto diverso dall’antipolitica, di cui si è tanto parlato e si continua a fare — io, poi, ho da tempo pensato e scritto che il Movimento 5 Stelle, lo dico dato che è sempre tirato in ballo, rappresenti semmai l’arcipolitica — perché, come per quel fenomeno legato al lavoro, c’è uno scoraggiamento, perché, come per quel fenomeno legato alla connessione alla rete, c’è una indifferenza, o meglio: una consapevolezza dell’impossibilità di costruire una relazione qualunque di vantaggio fra se stessi e la rete.
Una volta c’era “la maggioranza silenziosa”, non protestava, ma votava. E faceva pesare col voto le proprie opinioni, le proprie preferenze, le proprie ossessioni. Qui invece sembra affermarsi un lasciarsi andare.
Questo cinquanta per cento, che sembra refrattario alle battaglie di rinnovamento del Pd, sia in salsa liberale sia in salsa socialdemocratica, alle rifondazioni delle rifondazioni comuniste, alle sirene del berlusconismo, alle sfuriate e alle proteste del M5S, è una piaga o una riserva — come suol dirsi ripetutamente adesso a ogni piè sospinto — della democrazia e della repubblica?
Non siamo gli Stati uniti, dove da tempo ben più della maggioranza degli elettori non si iscrive ai registri e non partecipa al voto. Tra una cosa e l’altra, un presidente americano — cioè il leader della più grande potenza della storia — è al comando con circa un venti per cento dei cittadini che lo hanno scelto. Se quello americano è il “modello” verso cui stiamo andando, non so se sia il migliore dei mondi possibile.
Ma a parte le differenze di grandezza e di storia, i partiti in Italia sono stati la grande scuola della democrazia, della partecipazione, della promozione sociale. E chi non faceva vita politica aveva mille altre occasioni per partecipare alla vita sociale. Da noi invece, la vita economica è strettissima e la vita sociale si è andata progressivamente sfaldando. E se le pulsioni sociali non hanno voice, non hanno exit, per riprendere le categorie di Hirschman, tendono a implodere anche drammaticamente. Si può vivere senza partiti, dove la società ha una mobilità e una vitalità fortissimi.
Alcuni episodi recenti — l’uomo che si barrica nell’agenzia di Equitalia armato sino ai denti, la sequenza di suicidi per ragioni economiche, i colpi di pistola davanti a Montecitorio — adombrano uno scenario preoccupante.

Nicotera, 28 aprile 2013
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